Mancanza di talenti, stipendi sempre più bassi (soprattutto se rapportati al costo della vita e all’aumento dell’inflazione) e competenze da aggiornare. Se volessimo semplificare, potremmo riassumere così i trend del mercato del lavoro 2023. In realtà, però, c’è molto di più.
“Affascinati dalle tematiche poste dalla Great Resignation – precisa Orazio Stella, senior partner di Loriga&Associati, società di ricerca e selezione – che forse sono solo il risultato del naturale rallentamento della mobilità lavorativa registrato durante il lockdown e nel mezzo di una situazione economica in cui non è chiaro se stiamo entrando in recessione o se nel secondo semestre del 2023 l’economia ripartirà alla grande (si possono trovare opinioni che propendono, con pari peso e dignità scientifica, per entrambe le ipotesi), ci stiamo probabilmente dimenticando di un problema che chi opera nella ricerca e selezione di personale deve affrontare ogni giorno: non si trovano le persone necessarie a ricoprire le posizioni aperte. Ci sono tante ragioni alla base di questa situazione, ma una è più forte di altre: in Italia le retribuzioni non crescono da 30 anni ed oggi il livello retributivo medio è palesemente più basso rispetto a quello percepito da persone con analoghe posizioni in altri Paesi europei. Un problema che, purtroppo, inizia a farsi sentire molto”.
Qualche dato: nel periodo dal 1990 al 2020, le retribuzioni medie in Germania sono cresciute del 34%, in Francia del 31%, nel Benelux di più del 20%, in Spagna del 6% ed in Italia sono diminuite del 3% (elaborazione effettuata da Openpolis, su dati OCSE).
A questo si collega anche il tema della produttività e di quel gap che le aziende italiane continuano a non riuscire a colmare: se chi lavora non ha la percezione che l’impegno professionale garantisca un’esistenza libera e dignitosa, la reazione andrà dal quiet quitting (non mi dimetto, ma certo non dedico al lavoro l’impegno che sarebbe necessario per raggiungere gli obiettivi dati) ad una diversa scelta di vita, dove il tempo da dedicare alle proprie passioni diventerà la priorità intorno alla quale costruire tutto il resto. Questo si pagherà in termini di produttività (e quindi di business) e diventerà sempre più difficile giustificare un riallineamento delle retribuzioni.
“Soltanto le aziende – aggiunge Orazio Stella – che comprenderanno per prime la necessità di fare una riflessione basata su dati ed analisi sostenibili acquisiranno un reale vantaggio competitivo e, sono sicuro, sarà il Sistema Italia, nella sua globalità, ad avvantaggiarsene. Quella che, ormai da qualche tempo, viene definita sostenibilità a 360 gradi ha (ed avrà in futuro) un impatto decisivo anche a livello di strategie occupazionali: l’attrattività verso i talenti, il benessere fisico, mentale e finanziario dei lavoratori e la loro occupabilità saranno collegate in maniera sempre più decisa alla capacità di aziende e manager di creare valore ed è su questo campo, nel quale la concorrenza è sempre più agguerrita, che si giocherà la partita della talent retention”.