Dalla perdita di concentrazione all’alienazione post-pandemia, lo spazio lavorativo si conferma leva decisiva per la produttività. Il Feng Shui contemporaneo tra neuroscienze, design e pragmatismo
Sedie ergonomiche, open space luminosi e caffè gratuito non bastano più. Sempre più persone lamentano difficoltà di concentrazione, senso di smarrimento e calo di motivazione negli ambienti in cui trascorrono otto o più ore al giorno. È un disagio diffuso, spesso silenzioso, che incide direttamente sulla qualità del lavoro e sulle performance aziendali.
Il problema non sta solo negli orari o nei carichi di lavoro, ma nello spazio fisico in cui si lavora ogni giorno: luci artificiali, ambienti impersonali, postazioni improvvisate, mancanza di privacy e stimoli visivi disordinati. Dopo anni di smart working forzato e ritorni parziali in ufficio, molte aziende si trovano oggi a gestire spazi che non rispondono più alle esigenze reali delle persone.
Non è un caso se grandi gruppi come JP Morgan e altre multinazionali stanno investendo nel ripensare gli spazi di lavoro, trasformandoli in ambienti più flessibili, collaborativi e in grado di generare appartenenza.
A confermarlo sono anche i dati: secondo l’ultima ricerca del Think Tank The European House – Ambrosetti, nelle aziende che hanno introdotto programmi strutturati di corporate wellbeing, la produttività è aumentata del 12%, mentre le assenze sono diminuite del 36%. Ancora più significativo è l’impatto sul capitale umano: i luoghi di lavoro progettati per favorire il benessere trattengono fino al 45% in più dei talenti rispetto a quelli privi di attenzione per lo spazio e la persona.
Numeri che raccontano una realtà evidente: il benessere è una condizione essenziale per far funzionare le imprese. E tra le voci che stanno portando questa trasformazione spicca l’esperienza di una sociologa romana che, dopo anni trascorsi in contesti aziendali, ha scelto di cambiare strada e mettere al centro proprio l’equilibrio tra spazi, mente e lavoro.
Dalla sociologia al Feng Shui moderno: nasce un approccio umano e pragmatico al benessere negli ambienti professionali
Il progetto nasce nel 2021 dall’unione tra ricerca personale e desiderio di impatto sociale: una laurea in Sociologia, la spinta a rimettersi in gioco durante il lockdown e poi l’incontro con il Feng Shui. Una disciplina millenaria che la consulente Valentina Pinto ha scelto di adattare a contesti moderni, senza mistificazioni, senza esotismi, per renderla uno strumento concreto soprattutto negli ambienti di lavoro.
Il suo approccio parte da una domanda semplice: come influisce lo spazio in cui lavoriamo, sul nostro equilibrio emotivo, sulla concentrazione e sulla creatività?
Lo spazio come specchio della mente: quando la produttività passa dalla scrivania (ma anche dai colori e dalla luce)
Dimentichiamo l’idea che il benessere nei luoghi di lavoro si riduca a una questione estetica o, peggio, a una moda new age. Qui non si parla di superstizioni o “energie” indefinite, ma di un approccio rigoroso che unisce osservazione, neuroscienze ambientali e principi progettuali. Il metodo proposto parte da un’analisi concreta degli ambienti e delle condizioni psicofisiche di chi li abita ogni giorno: la luce, i colori, l’ordine e la disposizione influenzano direttamente il modo in cui ci sentiamo e lavoriamo.
“Il modo in cui organizziamo lo spazio racconta molto di come un’azienda vede le persone che ci lavorano”, spiega Valentina Pinto. “Un ambiente progettato in modo disfunzionale genera stanchezza, frammentazione, demotivazione. Al contrario, uno spazio armonico può diventare un alleato silenzioso per favorire focus, fiducia e collaborazione. Non servono grandi investimenti: bastano piccoli accorgimenti, se ben guidati, per attivare un cambiamento visibile già nel quotidiano”, aggiunge.
Dai co-working ai ristoranti: il benessere ambientale parla tutte le lingue del lavoro
L’approccio ha già trovato applicazione in contesti diversi: abitazioni private, co-working, negozi e ristoranti, ma è nel dialogo con HR e imprenditori che si stanno aprendo a nuove prospettive. L’idea è semplice: agire sulla percezione dello spazio può essere un primo passo, concreto e non invasivo, per attivare un cambiamento più profondo nella cultura aziendale.
Soluzioni leggere, non strutturali, che agiscono sui flussi e sulla disposizione degli ambienti possono generare effetti positivi in termini di benessere e produttività, rendendo lo spazio un alleato nella costruzione di relazioni più armoniche e ambienti di lavoro più accoglienti.
Benessere come asset strategico: quando il design incontra la sociologia
La forza del progetto sta nella sua capacità di unire due dimensioni spesso tenute separate: da un lato l’approccio umanistico, attento alla persona e alle sue percezioni; dall’altro la concretezza di una consulenza basata su principi architettonici e neuroscientifici. Il tutto con un linguaggio accessibile, che punta alla divulgazione e non all’esoterismo.
“Non mi aspetto che le aziende rivoluzionino tutto da un giorno all’altro”, spiega Valentina Pinto. “Ma che inizino, semplicemente, a osservare: osservare come vivono i propri dipendenti, dove lavorano, cosa li affatica o li distrae. A volte è proprio da questo sguardo attento che nasce il cambiamento. Perché anche una scrivania, se ripensata nel modo giusto, può fare la differenza”, conclude.


