Rivoluzione Amazon, a rischio le spedizioni gratuite. Molti articoli potrebbero non avere più Prime

Amazon sta cambiando le regole del marketplace anche in Europa, con conseguenze su tutta la filiera, consumatori in primis che potrebbero tornare a pagare molte delle spedizioni che, ora, sono gratuite perché comprese nel servizio offerto da Amazon Prime”: così Paola Marzario, esperta di marketplace, presidente e founder di BrandOn Group, la società italiana nata per abilitare le aziende a vendere di più e meglio sui marketplace online, parla all’indomani della mail che Amazon ha inviato a oltre 20mila distributori europei per comunicare la decisione “di concentrarsi sull’approvvigionamento dei marchi direttamente dai proprietari, smettendo di rifornirsi da loro”. Una “rivoluzione” che sancisce di fatto la fine del rapporto tra la piattaforma di ecommerce più famosa al mondo e molti dei suoi distributori.

Già, perché con questa mail Amazon comunica di fatto la fine della relazione con una parte dei suoi vendor (i distributori che vendono alla piattaforma – modello B2B), per privilegiare un altro modello di business basato esclusivamente sui seller (distributore o brand che vende direttamente al consumatore finale attraverso Amazon – B2C) rivoluzionando la modalità di approvvigionamento per cui i brand potranno vendere direttamente su Amazon marketplace. Un cambiamento complesso e con una serie di conseguenze di cui si parlerà anche al prossimo BrandOn Focus “Amazon is changing the rules! Is it the right time to consider a 3p approach?”, evento online in lingua inglese destinato a brand e professionisti del settore che si terrà il31 marzo alle 12.

“Come impatto immediato molti brand non riusciranno a soddisfare la spedizione con Prime se dovranno pubblicare direttamente i loro prodotti sul marketplace anziché vendere ad Amazon – spiega Paola Marzario – quindi ci sono diversi scenari: o ci sarà minore scelta di prodotti o i seller metteranno in aggiunta al costo del prodotto le spese di spedizione, che l’utente dovrà dunque pagare a parte. Esiste anche una terza opzione: il consumatore si potrà trovare costretto ad acquistare dei multipack (più pacchi di uno stesso prodotto) per far sì che il seller riesca a sostenere l’impatto dei costi logistici e dunque inserirli nel prezzo finale senza un aggravio di costi per l’acquirente”. Stesso discorso per i consumatori fuori Italia o fuori dal Paese in cui si trova il seller da cui si vuole acquistare: pagheranno di più in termini di spese di spedizione. E questo vale per tutta l’Europa. “Per la prima volta il colosso americano mette la propria profittabilità davanti alla customer experience, così chi comprerà su Amazon – spiega Marzario – avrà meno prodotti garantiti dalla spedizione Prime, un particolare non ininfluente se si pensa a come l’esperienza di acquisto impatti sulla disponibilità del consumatore a comprare”.

Le conseguenze. Questo cambiamento, quindi, non riguarderà soltanto il mondo B2B ma si ripercuoterà a cascata anche sugli acquirenti. Non una cosa da poco, se pensiamo che, secondo l’Amazon Shopper Report 2022, nel nostro Paese il 96% della popolazione tra i 16 e i 65 anni ha acquistato sul colosso americano almeno 1 volta, mentre l’80% di loro acquista su Amazon regolarmente, almeno una volta al mese. Come spiega Paola Marzario,ogni attore della filiera implicato in questa rivoluzione subirà delle conseguenze e a rimetterci potrebbero essere i consumatori, che rischiano di dover dire addio alle spedizioni gratuite per molti prodotti”.

Il nodo del costo delle spedizioni. Il problema è il “costo delle spedizioni”: tutti i prodotti venduti dai seller con uno scontrino sotto i 20 euro difficilmente saranno sostenibili in una modalità di vendita marketplace, perché, se proviamo a includere le spese di spedizione su un prodotto di 20 euro, vediamo che, ad esempio, Italia su Italia, esse hanno un’incidenza del 25% (4,50 euro), il che rende difficilmente sostenibile un modello di business su questo tipo di prodotti, a meno di non far gravare il costo della spedizione sul consumatore finale. Una situazione che si potrebbe rivelare ancora peggiore per il digital export: Amazon, infatti, ha garantito finora il transhipping interno dei prodotti, e cioè, se l’acquisto avveniva in Italia, trasferiva poi il prodotto nei vari Paesi attraverso altri magazzini, il tutto a suo carico. Questo processo sarà difficilmente replicabile per un seller perché l’impatto logistico transnazionale avrà un peso maggiore: se devo spedire solo un pacco dall’Italia a un consumatore, ad esempio, tedesco o francese, mi costerà di più e quindi impatterà di più sul costo del prodotto. 

Perché diventare seller? Trasformiamo il problema in opportunità diventando seller ma non più solo su Amazon. “Stiamo assistendo da parte di Amazon a una revisione del modello di business che è coerente anche con i round di licenziamenti che sta effettuando da novembre 2022; d’altronde nulla di nuovo, visto che già nel 2019 Amazon negli Stati Uniti ha tagliato anche i brand con un fatturato sotto i dieci milioni di dollari. Dunque il mio consiglio ai brand è di lavorare in modo indiretto con Amazon (avvalendosi di società come BrandOn) mantenendo quindi il fatturato B2B/Vendor e di iniziare a valutare l’opportunità di passare a seller, ben conscia dello sforzo e delle complessità di questo cambiamento. Cambiare modello verso il seller permette anche di non vendere solo su Amazon – continua Marzario – Pensare all’ecommerce come un processo Amazon-centrico è infatti riduttivo: in Europa abbiamo la fortuna di avere oltre 200 marketplace, leader per country e per industry. BrandOn ad esempio già lavora con 82 marketplace. Le aziende possono dunque affrontare la complessità e lo sforzo di diventare seller non solo per vendere su Amazon, ma su questi altri marketplace europei, diversificando e ampliando considerevolmente le opportunità di vendita, prendendo anche in considerazione l’opzione di affidarsi a società, come BrandOn Group, capaci di aiutarle in questo delicato passaggio”.

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