Con 24 miliardi di euro generati nel 2019, una crescita costante del 33% negli ultimi cinque anni, la second hand economy comincia a rompere i paradigmi anche in Italia. Comprare e vendere usato, si colloca al quarto posto tra i comportamenti sostenibili più diffusi tra gli italiani come emerge dalla sesta edizione dell’Osservatorio Second Hand Economy, condotto da BVA Doxa che ha fotografato lo stato dell’arte dell’economia dell’usato in Italia nel 2019. In questo scenario si colloca Clothest*, una nuova piattaforma di ecommerce no-profit di abiti e accessori second-hand di alta moda che verrà lanciata il 1° dicembre.
Dare al vestito una missione più nobile, renderlo il veicolo di un cambiamento positivo che impatti sulla realtà circostante e che promuova la cultura della sostenibilità, è la missione di Clothest*, promotrice dei principi che determinano una moda realmente circolare.
“Questo progetto per me è una linea d’orizzonte, che unisce mondi distanti.” afferma Letizia Baldetti, founder di Clothest* “A me ha donato una grande libertà di acquistare, di sbagliare acquisti, di stancarmi di ciò che ho acquistato, perchè d’ora in poi niente andrà più perduto, tutto potrà essere consapevolmente rimesso in circolo e trasformato in patrimonio sociale. Riciclare è trasformare il desiderio di possesso in libertà di acquisto.”
Clothest*, raccoglie e vende abiti usati di brand del lusso per finanziare i progetti di assistenza della Casa Famiglia Caritas di Montevarchi, che aiuta circa 200 persone all’anno, con ospitalità per 40 persone mista tra residenze stazionarie e temporanee. I capi donati, chiusi nell’armadio e spesso inutilizzati, vengono così valorizzati per favorire uno sviluppo solidale. Clothest* è un percorso che inizia con la scelta tra acquistare un abito nuovo oppure uno usato. L’impatto ambientale, economico e sociale di un abito, dalla sua produzione alla sua distribuzione, è innanzitutto un problema etico. Comprare un abito usato è un gesto semplice ed efficace che aiuta a ridurre gli sprechi causati dal mondo della moda e che mitiga il ruolo di responsabilità dell’industria del fashion nei processi alla base dei cambiamente climatici. Significa scegliere in modo responsabile per l’ambiente e, in questo caso, anche assistere persone in difficoltà.
“È il momento di cambiare, è il momento di scegliere, di distruggere stereotipi e creare paradossi, raccontando una storia in cui impegno sociale e fashion addiction camminano insieme, perché chi più compra o dona capi di alta moda, più aiuta chi ne ha bisogno.” aggiunge Paolo Iabichino, Direttore strategico e creativo del progetto, “Acquistare diventa un gesto che ha un valore sociale.”’
Seguendo i principi di circolarità e di sostenibilità che guidano la second hand economy, i vestiti in Clothest* smettono di essere così semplici oggetti per trasformarsi in patrimonio sociale. Esprimono una dignità della persona, potenziano il vestirsi e portano fuori dalla logica del consumo: vengono resi altro, solidali, un gesto di amicizia, di fratellanza.
Il digitale diventa strumento abilitante per questo tipo di progetti, soprattutto nel momento attuale. “Il digitale abilita opportunità, non è un nemico da combattere. Questi ragazzi lo hanno compreso benissimo.” ricorda Enrica Gnoni, Ceo & Founder b2commerce, che ha curato la progettazione della piattaforma ecommerce, “La loro idea non avrebbe avuto il respiro necessario per diventare qualcosa di grande, se fosse rimasta legata al territorio. E viceversa, il digitale le permetterà di prendere dalla rete e restituire al territorio, al local, in uno scambio virtuoso e sano. Questo è il vantaggio dell’e-commerce, ed è la grande sfida che stiamo vivendo. La nostra vita, da consumatori, è ormai molto più digitale che reale, non ha senso combattere il cambiamento, impegniamoci invece a renderlo sostenibile per tutti”