Nel suo ultimo rapporto annuale sullo stato dell’E-commerce e la tutela dei consumatori, L’UE mostra che nel 42% dei casi, le credenziali green esibite su internet dalle aziende non forniscono informazioni sufficienti per verificarne l’autenticità.
Ne emerge infatti che molto spesso le (auto) dichiarazioni ambientale delle aziende, che vendono prodotti online, risultano “esagerate, false o ingannevoli”.
Il termine Greenwashing significa letteralmente “ambientalismo di facciata”, ovvero quella strategia, usata da aziende o istituzioni politiche, che aiuta a costruire un’immagine ingannevole sotto il profilo dell’impatto ambientale. Lo scopo è molto semplice: distogliere l’attenzione sull’impatto potenzialmente negativo dei propri prodotti o attività sull’ambiente.
Il greenwashing ha trovato sempre più spazio nel 2020, anno segnato sia dalla pandemia che dal boom degli acquisti online. L’ONU stima che, a livello globale, l’aumento è stato del 10%. In Italia, riporta così Rinnovabili.it, solo il primo lockdown è arrivato a un aumento del 31% degli acquisti online.
Tuttavia, la stessa Rinnovabili.it riporta che, per la seconda metà del 2021, Bruxelles prevede di adottare una direttiva focalizzata a sostenere la transizione ecologica nell’ambito dei consumi. Quest’iniziativa toccherebbe temi anche molto distanti dal greenwashing come, ad esempio, l’obsolescenza programmata e il diritto alla riparazione.